Difficile. È forse questo il termine chiave attorno al quale ruota tutta la vicenda umana e professionale di Pino Maniaci. Perché da un lato c'è una Cosa nostra sempre più nervosa per i toni beffardi utilizzati dal minuto giornalista siciliano. Dall'altro c'è il cosiddetto fuoco amico, secondo cui Maniaci non ha alcuna patente per parlare di antimafia, essendo pregiudicato per una storia di emissione plurima di assegni a vuoto. “Ho già spiegato com'è andata questa vicenda – dice tra una telefonata al cellulare e l’altra, come se quel vecchio Nokia fosse diventato ormai un’estensione irrinunciabile del proprio orecchio – È una storia vecchia, alla fine ho pagato fino all'ultimo centesimo. Il punto è che questo fatto è stato tirato fuori da alcuni politici che vogliono farmela pagare per le mie inchieste e da certi giornalisti televisivi locali che per causa mia hanno perso il loro bacino di audience. E così cercano di screditare il mio lavoro, molto spesso inventando storie di sana pianta, come quando hanno detto che ero stato io a incendiare la macchina. Mi è stato consigliato da più parti di querelare queste persone. Ma io considero la querela un atto di prevaricazione ingiustificato. Tanto più che loro parlano soltanto per invidia. Avevo pure proposto loro di sostituirmi nella conduzione del telegiornale. Io ne avrei guadagnato in salute e loro avrebbero potuto finalmente mettere in pratica la loro antimafia delle parole. Naturalmente il mio invito è caduto nel vuoto. Quindi che la smettano di farmi le pulci e scendano invece in trincea a combattere concretamente il malaffare dei boss”.
Ma se il rapporto con la concorrenza diretta non è facile, di tutt'altro tono è quello con la stampa e le grandi televisioni. “A livello nazionale si sono interessati a noi le Iene, Uno Mattina e Sky. Nella mia regione sono in ottimi rapporti con Tgs, la tv del Giornale di Sicilia, e sono in stretto contatto con Rino Cascio, Rosa Ricciardi e Giuseppe Crapanzano del TgR”. Gli ultimi due, tra l’altro, sono stati ospiti del telegiornale di Telejato in occasione di “Siamo tutti Pino Maniaci”, iniziativa promossa qualche mese fa dall’associazione ‘Rita Atria’ (il nome è preso da una testimone di giustizia che si è tolta la vita all’età di 17 anni, una settimana dopo l’assassinio del giudice Paolo Borsellino, avvenuto il 19 luglio ’92 a Palermo). Ogni settimana Maniaci viene affiancato alla conduzione da personaggi di spicco del mondo del giornalismo, della giustizia, della politica e della società civile. “Col tempo la lista d’attesa si è fatta lunga”, spiega Maniaci, che vive ormai sotto la tutela delle forze dell’ordine. “Hanno aderito, tra gli altri, il fondatore di Libera don Luigi Ciotti, il presidente del Senato Renato Schifani, il senatore Beppe Lumia, i ragazzi del comitato di Addiopizzo”. Tutti insieme per portare concretamente un appoggio a Maniaci e non lasciarlo solo di fronte alle minacce dei boss. “Devo dire grazie a tutti quelli che vengono nei nostri studi per supportare quello che stiamo facendo. Questo perché nel sistema dell'informazione regionale Telejato ha un ruolo di primo piano, e tantissime notizie di cronaca passano prima da noi. Segno di un tasso di credibilità molto alto. Vuol dire che stiamo facendo bene”. Un dato confermato anche dal tipo di risposta che arriva dalla strada. “Per adesso si tratta di un sostegno sussurrato, tramite email, sms o pacche sulle spalle. Le persone temono per la propria incolumità, e non posso certo fargliene un torto. Mi piacerebbe però vedere da chi gestisce le leve del potere qualcosa di più di un semplice appoggio”.
Telejato è dunque un piccolo esempio di buon giornalismo italiano. Il nucleo principale è costituito dalla famiglia Maniaci. La moglie Patrizia Marchione, 43 anni, è la coordinatrice della redazione assieme a Pino. Poi c'è la figlia maggiore, Letizia, 23 anni, vincitrice nel 2005 del premio Maria Grazia Cutuli come miglior giornalista emergente. Si occupa delle riprese e della regia del tg. Ultimamente ha girato anche diversi servizi completi. Infine c'è l'altro figlio, Giovanni, 20 anni. “Lui è un po' più svogliato – dice sghignazzando il padre – ma quando c'è da portare una notizia non lo ferma nessuno. Pure Giovanni ha subito diverse intimidazioni”. Come conferma Reporter Senza Frontiere, secondo il quale l’intera famiglia Maniaci è tra gli obiettivi a rischio.
Assieme a una squadra di collaboratori esterni (tra i quali c’è quel Salvo Vitale collaboratore di Peppino Impastato, quasi si trattasse di un ideale passaggio di testimone), Telejato manda in onda ogni giorno alle 14 il proprio telegiornale, che col tempo è diventato un manifesto iconoclasta e strafottente nei confronti dei simboli del potere della criminalità organizzata. Due ore abbondanti di inchieste, cronaca locale e interviste. L’approccio non è di quelli che si direbbero ortodossi. La grafica utilizzata, tanto per dirne una, è una poderosa retromarcia tecnologica di un paio di decenni, con un uso delle dissolvenze che riporta alla mente i tempi edonistici di Ronald Regan e delle prime videocamere amatoriali. Così come la sigla di apertura, che sembra provenire dal nastro magnetico di qualche vecchia musicassetta sepolta nella polvere di un modernariato lasciato in disuso dalla voracità tecnologica della Storia.
E poi c’è lui, Maniaci. Davanti allo schermo è un misto tra un reporter d’assalto e un cabarettista satirico, complici quei baffoni castani che coprono i movimenti della bocca ma non il fluire delle parole. Una volta, per esempio, in durante un’inchiesta sui fumi provenienti da una distilleria di Partitico, ha vestito i panni di un novello Indiana Jones siculo per andare, armato di telecamera e microfono, “alla ricerca della puzza perduta”. Niente ironie, però, nonostante venga automatico sottolineare come un approccio simile alla notizia presti il fianco alle facili critiche di chi ha del giornalismo un’idea più convenzionale. Perché l’immagine di Maniaci che brandisce il filo del microfono come l’Harrison Ford dei tempi migliori ha un potere di sintesi che gode di grande appeal tra il pubblico di Telejato. Ed è l’elemento – lo sberleffo elevato al rango di inchiesta – che trova la propria dimensione migliore proprio nell’ampio spazio che il tg riserva ogni giorno alla cronaca mafiosa. E Maniaci ne ha davvero per tutti. “A Montelepre, cittadina in provincia di Palermo – dice – mio fratello fa l'assessore comunale. Il mio telegiornale se ne è occupato in varie occasioni. Una volta, per esempio, aveva aumentato ingiustificatamente il prezzo del pane, semplicemente perché gestiva un panificio. L'ho costretto, dopo il servizio che abbiamo messo in onda, a riabbassare il prezzo”.
Telejato ha assunto uno status così elevato a Partinico che in redazione è una continua staffetta di esponenti politici dell'attuale amministrazione comunale. Tutti a chiedere consigli a Maniaci sui provvedimenti da adottare e tutti sbeffeggiati in diretta tv se salta fuori qualche norma controversa. “Il punto – dice – è che ormai i miei confidenti principali sono i cittadini. Se brucia una macchina o succede qualcosa di strano la gente chiama me anziché le forze dell'ordine. E devo dire che nonostante l'esposizione mediatica le mie fonti non si sono lasciate intimorire”.
Non si vedono molti soldi nelle casse di questa emittente. “Noi siamo una tv comunitaria – spiega – Secondo la legge Mammì questo tipo di televisioni, che nascono in contrapposizione a quelle commerciali, si caratterizzano per l'assenza di scopi di lucro. In concreto, vuol dire che abbiamo il limite dei tre minuti di pubblicità l'ora. Ecco perché il telegiornale dura due ore, a volte anche due ore e mezzo. Con un lasso di tempo così ampio possiamo usufruire di due o tre fasce pubblicitarie, pari a circa sei minuti totali a puntata. Con gli introiti paghiamo la luce, il telefono, l'affitto e tutte quelle spese che ci permettono di trasmettere ogni giorno”.
Ma la mancanza di un guadagno consistente non lo preoccupa affatto. “Io vengo chiamato da tutta Italia per fare incontri con giornalisti, politici e studenti – dice – e lo faccio gratuitamente. Chiedo soltanto che mi venga pagato il biglietto aereo. Non mi piace che ci sia qualcuno che riceve soldi per fare sensibilizzazione contro Cosa nostra. Purtroppo c'è un tariffario ben preciso applicato a un certo carrozzone antimafia. Ed è qui che nascono i primi problemi”. Perché per Maniaci il punto di partenza di tutto il suo lavoro è soltanto uno. “Bisogna creare una linea di demarcazione fra noi e i mafiosi – dice – Non dobbiamo prendere il caffè con loro e tanto meno li dobbiamo salutare. È fondamentale invece sputtanarli e isolarli. Se riusciremo a fare questo moriranno da soli. Perché è la nostra paura e la nostra riverenza a fare di loro quello che sono. Io stesso ho paura, ma non lo vedranno mai”.
La cosa curiosa è che in una zona ad alta densità mafiosa come Partinico c’è un fermento di rinascita in continua espansione. Oltre a Telejato, infatti, c’è anche LiberaMente, blog di analisi e controinformazione politica dedicato alle vicende partinicesi e raggiungibile all’indirizzo http://www.partinico.info/. Gli ideatori del progetto sono due giornalisti siciliani, Walter Molino e Angelo Vitale. Il primo vive a Roma, dove è caporedattore del portale di scienza e tecnologia Karma-pa.it. Il secondo lavora per un’agenzia di relazioni pubbliche di Milano. Il blog è un archivio in continuo aggiornamento di notizie partinicesi.
Se non suonasse come un sinistro presagio – e conoscendo Maniaci in questo caso le imprecazioni scatterebbero di default – verrebbe da dire che a Partinico ciò che non ti uccide ti rende più forte. Davvero.
Manfredi Lamartina
giovedì 22 gennaio 2009
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